Peter Caton

Unyielding Floods

Negli ultimi quattro anni, inondazioni incessanti hanno devastato il Sudan meridionale, causando lo sfollamento di intere comunità e lasciando molti senza speranza di ritorno. In qualità di nazione più giovane del mondo - avendo ottenuto l'indipendenza nel 2011 - il Sudan meridionale affronta immense sfide nel tentativo di riprendersi dai conflitti, mentre combatte contemporaneamente la crescente crisi climatica. Alcuni esperti temono che questa situazione possa diventare il primo caso di sfollamento di massa permanente dovuto ai cambiamenti climatici. Nel 2024, la crisi è proseguita, con 1,4 milioni di persone colpite in 43 contee. L'impatto è grave: oltre otto milioni di persone affrontano fame e insicurezza alimentare acuta, più della metà della popolazione del paese. I terreni agricoli sono sommersi, i raccolti distrutti e ora, le comunità remote come quelle di Old Fangak, dipendono da cibo selvatico come le ninfee per sopravvivere. ( Italo Valenti, “L’etica della possibilità” )

La crisi è aggravata dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari, dalle violenze in corso e da un’impennata di malaria e malattie trasmesse dall’acqua stagnante. I bambini sono i più vulnerabili: 1,4 milioni soffrono di malnutrizione acuta e quasi tre milioni di loro sono sull’orlo della fame. Intere città sono scomparse sotto le acque alluvionali; sopra la superficie si vedono solo i tetti delle case.

Eppure, in mezzo alla devastazione, alcune comunità stanno trovando modi per adattarsi. In aree dove le colture tradizionali non possono più sopravvivere, gli agricoltori hanno iniziato a coltivare riso resistente alle inondazioni, trasformando le terre allagate in una fonte di cibo e di reddito. La pesca è diventata un mezzo primario di sopravvivenza, mentre il commercio su canoa ora sostiene le economie locali. In alcune regioni, le famiglie hanno costruito cumuli di erba galleggianti – isole artificiali che si muovono assecondando i livelli dell’acqua – che permettono loro di rimanere in un luogo invece di essere costrette a vivere in campi profughi sovraffollati.

Durante la documentazione di questa crisi, ho incontrato persone la cui resilienza di fronte al disastro si è rivelata straordinaria. Samuel, padre di quattro figli, mi ha raccontato come il suo villaggio sia stato inghiottito dalle inondazioni nel 2021. “L’acqua continuava ad arrivare e non avevamo nessun posto dove andare”, ha detto. “Abbiamo costruito piattaforme con erba e bastoni solo per tenere i nostri bambini sopra l’acqua.” Mary, un’altra sopravvissuta, ha descritto come la sua famiglia ora dipenda da pesci e ninfee selvatiche. “Eravamo agricoltori, ma ora viviamo sull’acqua”, ha spiegato. “Stiamo cercando di adattarci, ma la fame è preoccupante.”​

Ho documentato questo disastro nel corso di quattro anni, viaggiando nel nord del Sudan meridionale durante le stagioni delle piogge. La mia prima esperienza nel fotografare le inondazioni è stata nel 2020. Nel 2022, quasi un milione di persone era stato colpito. Le inondazioni sono iniziate nel 2019, in un momento in cui il Sudan meridionale si stava ancora riprendendo da una brutale guerra civile che ha causato quasi 400.000 vittime. Con l’alzarsi delle acque che circondavano i villaggi, le persone sono rimaste intrappolate, incapaci di fuggire dai focolai di violenza. Altri hanno perso tutto, costretti in campi profughi che sono stati presto isolati dalle acque alluvionali. Il costo economico di questa catastrofe climatica è stimato in 542 milioni di sterline, con perdite di raccolti e di bestiame che hanno accelerato la carestia.​World Food Program USA

La lotta per la sopravvivenza persiste senza che ci siano segnali di riflusso delle acque. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico avverte che le inondazioni del Sudan meridionale non faranno che peggiorare insieme all’aumento delle temperature globali. Le soluzioni rimangono evasive in una nazione dove i conflitti interni indeboliscono le infrastrutture e gli sforzi di risposta.​

Attraverso il mio lavoro, utilizzando una fotocamera Hasselblad, aspiro a documentare e condividere questa crisi con il mondo. Le immagini che ho catturato rivelano una realtà straziante—una realtà che richiede attenzione ed azione. Sebbene non ci siano risposte facili, continuare questa condivisione attraverso immagini che fanno riflettere è un passo cruciale verso la consapevolezza e il cambiamento.

BIOGRAFIA

Peter Caton è un fotoreporter di fama internazionale il cui lavoro rappresenta il punto di incontro tra giustizia ambientale, narrazione umanitaria e impatto sociale. Con oltre due decenni di esperienza alle spalle, Peter ha dedicato la sua carriera a documentare le vite di coloro che sono stati maggiormente colpiti dal cambiamento climatico, dai conflitti e dalle disuguaglianze, spesso in paesi trascurati dai principali mezzi di comunicazione.​ Nato a Scarborough, in Inghilterra, Peter è cresciuto ai margini del Parco Nazionale dei North Yorkshire Moors, dove i suoi genitori gestivano una grande casa-famiglia. Il loro impegno nel sociale ha trasmesso a Peter una solida base morale e una profonda sensibilità verso le difficoltà altrui. Durante gli studi in fotografia a Middlesbrough, Peter è stato ulteriormente influenzato dalle sfide socioeconomiche delle comunità operaie dell'Inghilterra settentrionale. Questi primi influssi hanno dato il via ad una dedizione permanente all'utilizzo della narrazione visiva come strumento di empatia, consapevolezza e cambiamento.​

Nel 2006, dopo diversi viaggi formativi in Asia meridionale, Peter ha preso la decisione di vivere con la valigia sempre pronta e dedicarsi completamente a una carriera freelance nel fotogiornalismo. Ha iniziato a lavorare in maniera estesa in tutta l’India, assumendo incarichi presso importanti ONG (Organizzazioni non governative N.d.T.), umanitarie e ambientali tra cui: Save the Children, CARE, Greenpeace, WFP, UNICEF, UNAIDS, MSF, Oxfam e la Croce Rossa. I suoi progetti lo hanno portato nel cuore di comunità che vivono le crisi in prima linea, dalla migrazione forzata alla siccità, dall'innalzamento del livello del mare alle emergenze sanitarie pubbliche.​ Nel 2007, Peter è stato incaricato di documentare la crescente crisi dei rifugiati climatici nella regione delle Sundarbans in India. Questo incarico, insieme alla successiva devastazione causata dal ciclone Sidr nel vicino Bangladesh, ha segnato una svolta nella sua carriera. Queste esperienze hanno profondamente plasmato la sua visione del mondo e rafforzato il suo impegno nel mettere in luce il volto umano del cambiamento climatico. Da allora, il suo lavoro è stato guidato dal desiderio di raccontare storie urgenti, spesso invisibili, attraverso narrazioni visive compassionevoli e potenti.​ Negli anni successivi, la fotografia di Peter è diventata una presenza fissa in mostre e gallerie internazionali. Nel 2010, ha collaborato con Greenpeace per lanciare "Sinking Sundarbans" (Il Sundarbans affonda N.d.T.) alla Oxo Gallery di Londra, una mostra potente che ha girato il mondo, presenziando in città di Asia, Sud America e Stati Uniti. Il suo obiettivo fotografico ambientalista si è successivamente rivolto al Cerrado minacciato del Brasile, la savana più la più vasta biodiversa al mondo, dove l'agricoltura intensiva e le monocolture rappresentano una minaccia esistenziale per gli ecosistemi locali. Questo lavoro è stato accolto con grande favore in Brasile, con mostre personali nelle principali città e una proiezione significativa delle sue immagini sulla facciata del Museo d'Arte Moderna di San Paolo.​

Negli ultimi dieci anni, Peter ha considerato l'Africa come casa, vivendo e lavorando nel continente per documentare alcune delle crisi umanitarie e climatiche più importanti del nostro tempo. Dai paesaggi aridi delle comunità colpite dalla siccità nell'Africa orientale alle inondazioni che hanno causato lo sfollamento di migliaia di persone nel sud del Sudan, lo sguardo fotografico di Peter è rimasto focalizzato sulle esperienze vissute di resilienza, vulnerabilità e speranza. Per il suo lavoro in Africa gli sono stati conferiti numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui un International Photography Award (IPA) per la fotografia ambientale.​ Le immagini di Peter sono state ampiamente pubblicate su testate internazionali come il Sunday Times Magazine, il Guardian, il Washington Post, Der Spiegel, El País, Marie Claire, Esquire e GEO. I suoi ritratti in bianco e nero di sopravvissuti alla lebbra sono stati esposti alla National Portrait Gallery di Londra, mettendo in mostra la sua capacità di catturare con grazia e sensibilità tragedia e umanità insieme.​ Oggi, Peter continua a condurre una vita nomade, viaggiando leggero con solo una valigia e la sua attrezzatura fotografica. Scatta con una Hasselblad H5D-50c digitale e flash portatili Elinchrom, che gli permettono di produrre immagini di qualità da studio anche nei luoghi più remoti e vulnerabili sul piano ambientale. Mosso dalla convinzione che la fotografia possa informare, ispirare e innescare il cambiamento, Peter continua a dedicarsi alle storie che contano, ovunque esse abbiano luogo.

SEDI ESPOSITIVE

Monastero del Carmine
Via Bartolomeo Colleoni, 21 Bergamo Alta (BG)

Ex Ateneo Scienze Lettere e Arti
Piazza Vecchia Bergamo Alta (BG)

BIGLIETTERIA UNICA PRESSO MONASTERO DEL CARMINE

ORARI & INFO

11 Ottobre - 9 Novembre
da Venerdì a Domenica
dalle ore 10.00 alle ore 19.30

FOTOGRAFICA presenta “CORAGGIOSI SI DIVENTA”
V edizione – 11 ottobre – 09 novembre 2025