In Afghanistan, dal luglio 2023, i saloni di bellezza sono stati chiusi per decreto. Tagliare i capelli, truccarsi, specchiarsi: gesti semplici e quotidiani che da quel momento sono stati vietati. Le donne che lavoravano come parrucchiere o estetiste sono state costrette a esercitare la propria professione in clandestinità, nelle case, in silenzio. Altre sono fuggite in Pakistan, dove vivono in condizioni di precarietà, sospese tra l’esilio e l’attesa.
Silvia Alessi, fotografa e parrucchiera, ha cercato queste donne non per raccontarle dall’esterno, ma per restare abbastanza vicina da lasciare spazio alla loro voce. In Pakistan ha fotografato le studentesse di una scuola di estetica dedicata esclusivamente alle rifugiate afghane, fondata da una
parrucchiera americana. In Afghanistan, è riuscita a entrare nelle case di alcune donne che continuano a tagliare i capelli di nascosto, rischiando molto, ma rifiutando l’idea di cancellarsi.
Le immagini che ne derivano non parlano soltanto di un mestiere, ma di libertà negate. Di corpi che si sottraggono al controllo. Di gesti minimi che diventano resistenza. Ogni volto, ogni mano, ogni ciocca fotografata testimonia qualcosa che non può più essere detto a voce alta. Al termine di ogni ritratto, Silvia ha chiesto a ciascuna donna di scrivere un proprio messaggio su un aquilone — simbolo tradizionale afghano di libertà, gioco e desiderio. Non tutte ci sono riuscite: alcuni aquiloni sono rimasti
bianchi, muti. Non per scelta, ma perché l’analfabetismo resta una delle forme più profonde di esclusione. E anche quel silenzio, in questa mostra, ha un peso.
Questa serie di ritratti non vuole spiegare. Vuole offrire uno spazio di ascolto. Dove si possano vedere, finalmente, i volti di chi non si può più mostrare.