
“Prima ero povera, ma ora è molto peggio”. Sono le parole di Hadjia, una delle persone costrette ad abbandonare tutto, a causa dell’alluvione che ha colpito il Ciad. In poche settimane l’acqua ha inondato case, scuole, ospedali e campi coltivati, trasformando le persone, con situazioni già complesse, in sfollati costretti a una condizione di estrema povertà e totale incertezza del futuro.

Quanto accaduto in Ciad è un esempio delle conseguenze di quello che oggi conosciamo come “cambiamento climatico”: desertificazioni, alluvioni, inverni sempre più caldi e brevi, estati lunghe e torride, e stagioni delle piogge sempre più violente. Tutto questo ha conseguenze devastanti sulla salute delle persone, con tassi di malnutrizione sempre più severi, casi di malaria e di malattie legate all’acqua in aumento. Il Ciad è la perfetta rappresentazione della linea di confine tra quello che era e quello che sarà, immagine simbolo di un mondo futuro che rischia di vivere in “Apnea”.

Nel suo racconto fotografico Podavini, vincitore di due World Press Photo, documenta la storia di Hadjia e altre persone come lei, insieme al lavoro di Medici Senza Frontiere, per fornire assistenza sanitaria nei campi per sfollati. Storie di acqua e sabbia, e di chi, nella furia di questi due elementi, è rimasto intrappolato, sospeso.
Medici Senza Frontiere opera in molti paesi (tra cui Mozambico, Sud Sudan, Niger, Pakistan, Somalia) dove l’emergenza climatica sta esacerbando le crisi già esistenti, come insicurezza alimentare, conflitti ed epidemie di malaria e dengue, aggiungendo un’ulteriore sfida per il proprio intervento umanitario.

